La spiritualità che entusiasma
A Pentecoste, per l’effusione dello Spirito Santo, si manifesta al mondo il corpo mistico di Gesù; la Chiesa nasce e si sviluppa arricchendosi di nuove membra e continuerà a crescere fino al giorno del ritorno glorioso di Cristo nella sua parusia. Così lo Spirito ci fa pregare in una delle orazioni della veglia di Pasqua: «O Dio che accresci sempre la tua Chiesa chiamando nuovi figli da tutte le genti, custodisci nella tua protezione coloro che fai rinascere dall’acqua del Battesimo».
Molti cristiani vivono in una società che alimenta una cultura individualista ed inevitabilmente ne vengono influenzati, talvolta fino a perdere la consapevolezza della grandezza dell’identità cristiana. Una semplice verifica la si può percorrere ponendosi questa domanda: il pensiero di appartenere alla Chiesa mi entusiasma? Oppure mi appaga completamente e/o lo considero un ostacolo al mio incontro personale con Gesù?
Negli anni ’70 del secolo scorso, in particolare in Europa, la Chiesa era considerata da più cristiani come un’istituzione che soffocava la vitalità dell’incontro autentico con Gesù; significativo lo slogan che risuonava da più parti: “Cristo sì, Chiesa no”. Una tentazione a cui ancora oggi siamo soggetti. Meditare sulla bellezza e sull’altissimo frutto spirituale che deriva dal riconoscersi membra della Chiesa è al contempo glorificare lo Spirito Santo e questa glorificazione, come rivela Gesù alla Povera anima, è di grandissima importanza e ne deriveranno beni incalcolabili di grazia spirituale e anche di pace e concordia tra i popoli (4-4-1966).
Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria (Sal 115).
Quando si scivola in una spiritualità individualista, spesso si accentua sia il desiderio e la ricerca dell’apprezzamento da parte degli altri, sia il confronto orgoglioso ed il sentirsi migliori: è la tentazione della vanagloria e della superbia. Lo Spirito Santo ci aiuta ad orientare i pensieri del nostro cuore attraverso la Scrittura da lui ispirata, come ad esempio le parole del Salmo 115 riportate qui sopra ed in particolare il canto del Magnificat che Maria innalza nel momento dell’incontro con la cugina Elisabetta. Questo autentico atteggiamento interiore nasce dall’accoglienza del dono della fede. È la fede che guarisce e fa crescere nel rapporto vero con il Padre e con i fratelli; la più profonda guarigione infatti è quella che sana la frattura con Dio e con fratelli.
Alla reazione entusiasta del popolo per la guarigione di un mendicante storpio seduto alla porta del Tempio – avvenuta per l’intervento di Pietro e Giovanni nei giorni successivi alla Pentecoste – segue la risposta illuminata e chiarificatrice: «Perché vi meravigliate di questo e perché continuate a fissarci come se per nostro potere o per la nostra religiosità avessimo fatto camminare quest’uomo? Voi avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni. E per la fede riposta in lui, il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete; la fede che viene da lui ha dato a quest’uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi» (At 3,12. 16).
Tempi della consolazione.
Con il capolavoro dello Spirito Santo nell’opera dell’incarnazione del Verbo e con l’umile accoglienza da parte della creatura umana attraverso il “sì” di Maria santissima, siamo definitivamente entrati nella pienezza dei tempi, culminata nella gloriosa pasqua di risurrezione di Gesù e nell’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste. Questo è il tempo dello Spirito Santo ed è il tempo della Chiesa perché «Dov’è la Chiesa, lì è lo Spirito di Dio; dov’è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa e ogni grazia» (sant’Ireneo). Nella misura in cui viviamo l’appartenenza di cuore alla Chiesa – con tutti i suoi concreti mezzi di salvezza ma anche con le fragilità umane dei suoi membri – allora viviamo l’autentica vita nello Spirito e compiamo la missione alla quale il Cristo risorto ci ha inviati e abilitati con l’effusione dello Spirito Santo: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,21s).
A questo punto ritorna ancora la domanda: «Sto vivendo con impegno e gratitudine la vita cristiana o aspetto ancora e vado in cerca di una qualche grazia particolare che mi coinvolga facendomi sentire la potenza dello Spirito Santo? Attingo alla pienezza dello Spirito Santo attraverso l’appartenenza viva alla Chiesa e ai suoi mezzi ordinari di salvezza o continuo ad andare in cerca di esperienze che considero più vive e spontanee?».
Umiltà e grandezza: la sorgente dell’entusiasmo.
Umiltà è libertà e autentica grandezza. L’umiltà permette di vivere la propria piccola parte del disegno di salvezza – un disegno che ci supera infinitamente – con serenità ed impegno, senza cercare visibilità o invidiare la parte degli altri magari più grande ed importante. La consapevolezza di appartenere al Corpo mistico di Gesù è l’atteggiamento spirituale più fecondo che anticipa la perfetta comunione che vivremo in Cielo. Vediamo un riflesso di quanto stiamo dicendo in una preghiera che la povera anima rivolge a Gesù nella Pentecoste del 1964: «O mio Signore, Gesù Cristo, centro divino di tutte le ricchezze della SS. Trinità io ti adoro, ti amo, e ti ringrazio per tutti i beni che recasti all’umanità intera, che considero come miei».
Anche se non sono io in prima persona a compiere una grande azione, sono parte di un corpo che lo fa e dunque sono anche io a compierla.
L’obbedienza allo Spirito è l’autentica spiritualità
Vivere radicalmente la mia piccola parte, in altre parole vivere nell’obbedienza pronta e generosa allo Spirito Santo, è la strada maestra per la maturazione dell’identità di figli di Dio. La via dell’obbedienza è la via percorsa in pienezza da Gesù stesso il quale «pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8s); «entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,5.7). L’obbedienza nel fare la volontà del Padre, nel rinnegare i propri progetti, nel non assolutizzare i propri modi di vedere, porta molto frutto e questo frutto rimane in eterno; il non farlo conduce inevitabilmente alla rovina. Non solo non si edifica la comunità (della famiglia, della parrocchia o di qualsiasi altra aggregazione sociale) bensì si diviene artefici di separazione. L’avocare a se stessi il diritto esclusivo di fruire dei frutti senza consegnarli per l’utilità di tutti ha la conseguenza nefasta di farli imputridire. Quando ci si impegna a costruire comunità armoniche e fraterne con le proprie forze non si realizza nulla, si finisce inesorabilmente col cercare di eliminare tutto ciò che sembra ostacolare il proprio progetto. Solo Dio edifica. Senza la luce e la forza dello Spirito Santo nulla è nell’uomo, nulla è senza colpa; l’uomo scarta ciò che in realtà è fondamentale tirandosi così, come si suol dire, la zappa sui piedi. Ecco cosa lo Spirito Santo dice per mezzo di Pietro ai capi giudei che hanno rifiutato Gesù: «Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4, 8-12).
«Rallegriamoci, dunque, e rendiamo grazie a Dio: non soltanto siamo diventati cristiani, ma siamo diventati Cristo stesso. Capite, fratelli? Vi rendete conto della grazia che Dio ha profuso su di noi? Stupite, gioite: siamo diventati Cristo! Se Cristo è il capo e noi le membra, l’uomo totale è lui e noi» (sant’Agostino).