Premessa
Scorrendo le parole del dialogo tra la povera anima e la Voce, che poi si dichiarò essere quella di Nostro Signore Gesù il Cristo, ho percepito alcuni echi della Parola che Gesù pronunziò duemila anni fa in Palestina e quelli della Parola di Dio quando trasse da un popolo di dura cervice il popolo di Israele. Anche nel rivelarsi alla povera anima la Voce ha fatto le cose pian pianino, come uno che discretamente entra nel cuore, ma prima vuole farsi conoscere, non rivelarsi subito per chi è, ma lasciare il tempo che la creatura riesca a capire, per poi comunicare il proprio progetto su di lei e sull’Opera, che sarebbe stata costituita, al fine di istituire un culto più solenne, ardente, pratico allo Spirito Santo.
Ecco questo vorrebbe essere un viaggio, senza alcuna pretesa di completezza né di scientificità, tra le Parole della Rivelazione e quelle della Voce per stabilire un collegamento tra queste e quelle, un parallelo che faccia intuire che è proprio il Signore colui che parla e non solo parla. Infatti, oltre la parola, ci sono anche degli atteggiamenti del Signore che danno un senso preciso alla parola che pronuncia e sono significativi della propria natura divina coniugata con quella umana.
Pertanto, la lettura sarà strutturata secondo l’ordine dei messaggi riportato nel libro blu “Potenza Divina d’Amore”, cercando di individuare nel messaggio un eco, un fatto, una parola o un significato che abbia una risonanza nella Rivelazione. Da questa per l’edificazione personale verranno tratte delle semplici conclusioni.
Cap. 1 – Ho scelto il tuo cuore come un piccolo rifugio; lasciami entrare, ho bisogno d’amore!
In questa prima affermazione della Voce, sembrerebbero avere risonanza la scelta del cuore della povera anima, considerato un rifugio, il fatto di potervi entrare e il bisogno d’amore.
La Scelta
Le scelte che il Signore fa nella Bibbia sono molte, effettuate spesso attraverso profeti o accadimenti. Sono sempre scelte che, a giudizio degli uomini e secondo la loro esperienza, non possono essere vincenti. Come può essere vincente un popolo di pastori? Sarebbe stato meglio affidarsi agli Assiri, ai Babilonesi o agli Egizi, popolazioni più evolute culturalmente e tecnicamente, sotto tutti i punti di vista. Ma il Signore, no!, si affida e si fida di un piccolo popolo di pastori, politicamente, culturalmente e tecnicamente insignificante per il tempo, fa loro una promessa nella persona di Abramo che diventa un’alleanza con Mosè e una realtà con Cristo. La scelta del Signore ricade sempre sulla semplicità, sulla povertà di mezzi e sull’umiltà. Il primo esempio che viene in mente è quello della scelta di Davide (1Sam 16,1-13). Samuele viene inviato dal Signore alla casa di Iesse, con un corno pieno di olio per ungere il nuovo consacrato, poiché Saul, a suo tempo scelto dal Signore, non si era dimostrato all’altezza. È vero che il Signore sceglie, ma l’uomo è sempre libero di rifiutare ciò che il Signore ha pensato per lui. Uno ad uno, Samuele passa in rassegna sette degli otto figli Iesse, ma il Signore li scarta tutti dicendo a Samuele che li ha scartati “perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”. L’ultimo, Davide, il più piccolo della famiglia che stava facendo il lavoro più umile, quello di pascolare il gregge, è proprio lui il consacrato, l’unto, colui che il Signore sceglie per re di Israele e la Scrittura dice che “lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi”. Fu pieno dello spirito del Signore e, tuttavia, dobbiamo sempre avere presente come monito che ciò non gli impedì di peccare. Vedrei proprio in questa scelta di umiltà e nascondimento quella della Voce, che si rivolge alla povera anima per sceglierla tra tante altre, proprio per le sue qualità che non sono quelle che gli uomini apprezzano. Perché il Signore vede il cuore!
Potremmo trovare altri riferimenti nella scrittura come la scelta di Giuseppe figlio di Abramo per salvare il popolo colpito dalla carestia (Gen 37,1ss), la chiamata del profeta Amos (Am 7,14s) o quella di Geremia (Ger 1,4-10) che da semplici mandriani e contadini sono chiamati dal Signore a compiere opere che non avrebbero mai sognato (Ger 1,10). Sono scelte di semplicità e concretezza, scelte avvenute nella libertà del soggetto scelto e sempre per grandi fini.
Il Signore vede il cuore
La scelta del cuore della povera anima come piccolo rifugio, come umile e pura dimora, richiama una delle Beatitudini del Vangelo di Matteo (Mt 5, 8): “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”. Questo è letteralmente ciò che è successo alla povera anima. Ci aiuta a comprenderlo san Gregorio di Nissa[i]: “Ciò che invece è libero e puro da ogni sordida voglia, questo è certamente indirizzato all’autore e principe della pace, Cristo. Chi attinge e deriva da lui, come da una sorgente pura e incorrotta, i sentimenti e gli affetti del suo cuore, presenterà, con il suo principio e la sua origine, tale somiglianza quale può aver con la sua sorgente l’acqua, che scorre nel ruscello o brilla nell’anfora.
Infatti, la purezza che è in Cristo e quella che è nei nostri cuori è la stessa. Ma quella di Cristo si identifica con la sorgente; la nostra invece promana da lui e scorre in noi, trascinando con sé per la via la bellezza ed onestà dei pensieri, in modo che appaia una certa coerenza ed armonia fra l’uomo interiore e quello esteriore, dal momento che i pensieri e i sentimenti, che provengono da Cristo, regolano la vita e la guidano nell’ordine e nella santità.”.
Possiamo riconoscere in queste parole l’atteggiamento, la predisposizione d’animo, la volontà della povera anima. Lei non ha visto Dio, ma ci ha parlato, ci si è confidata, ha ricevuto affetto e inviti, e, con gli occhi della fede, ciò è ben più che vederlo!
Un piccolo rifugio
Queste parole della voce fanno pensare a un ricovero di fortuna, un posto in cui è possibile riposarsi e stare in tutta tranquillità. Un luogo accogliente, robusto, costituito proprio per quello scopo. Viene in mente qui l’ospitalità che una signora Sunammita diede al profeta Eliseo (2Re 4,8ss) che era solito recarsi da lei. Lei con il marito gli prepararono una stanza in muratura per ospitarlo nelle sue frequenti visite. Una stanza con tutti i comfort dell’epoca: “un letto, un tavolo, una sedia e un candeliere” per rendere il soggiorno migliore possibile. Il profeta vi si trovò a suo agio e con l’aiuto del Signore volle ricambiare l’ospitalità con un grande dono quello di un figlio per una donna che non aveva potuto averne. Nella povera anima il rifugio è costituito dal suo cuore, l’accoglienza è costituita dalla sua grande fede e dall’amore mostrato e vissuto, e il dono è costituito dalla figliolanza spirituale di tante persone che ancora oggi ritengono il suo messaggio interessante e formativo per la propria vita.
Lasciami entrare
Ma c’è un passo ancora da compiere per tutti noi, ammesso che abbiamo il cuore pronto ad ospitare: lasciarlo entrare, perché (Ap 3,19-21): “Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convèrtiti. Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono.”. Se dovessimo preparare il nostro cuore, ma poi non lo facessimo entrare non avremmo combinato niente di interessante. Solo se apriremo a lui la porta allora avremo trovato il fine della nostra esistenza, che sarà non solo nel mangiare con lui, ma, e soprattutto, perché sederemo con lui sul suo trono che è quello del Padre. Questa promessa vedrei realizzata proprio nella vita della povera anima che è stata rimproverata ed educata, ha preparato il suo cuore e lo ha aperto alla presenza di Cristo, ha cenato con lui alla mensa eucaristica ed ora, speriamo tutti che sia in trono con lui, per sua grazia e misericordia.
Terminerei, quindi, con un appello di san Giovanni Paolo II[ii]: “Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà!
[…] Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa «cosa è dentro l’uomo». Solo lui lo sa!”
[i] Dal trattato «L’ideale perfetto del cristiano»
[ii] Omelia di Giovanni Paolo II per l’inizio del pontificato, Domenica, 22 ottobre 1978